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Dedico con amore e
gratitudine questa pagina alla mia famiglia. |
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Mia madre, ALESSANDRA
GALANTE GARRONE
(Ivrea, 3 aprile 1945 - Bologna, 24 marzo 2004).
Attrice, Maestra di Teatro e fondatrice dell'omonima Scuola di Teatro di Bologna "Alessandra Galante Garrone". Nasce ad Ivrea - nelle cui campagne
parte della famiglia era sfollata da Torino per la
guerra - il 3 aprile 1945, a dir poco
miracolosamente avendo scampato la madre Sara,
accompagnata dalla zia Virginia, la fucilazione da
parte di soldati tedeschi delle SS in
ritirata, mentre col calesse raggiungevano
l'ospedale per il parto imminente. Formatasi a Torino, inizia la sua
attività teatrale come ballerina, dopo aver
frequentato i Corsi di danza - classica e moderna
- di Susanna Egri. Nel 1963 fonda a Torino il
Gruppo di canto popolare “I Cantimbanchi”. Nel
1964 partecipa come cantante alla prima stagione
del “Teatrino di Piazza Marsala” di Genova,
gestito dal Teatro Stabile di Torino. All'età di vent'anni, il 6 ottobre 1965
sposa a Torino l’attore-drammaturgo bolognese
Vittorio Franceschi e si trasferisce con lui a
Trieste, prendendo parte agli spettacoli “Aulularia”
di Plauto, in scena al Teatro Romano, e “Gorizia
1916”, produzione del Teatro Stabile del
Friuli-Venezia Giulia. Nel settembre 1967 parte per Parigi,
dove frequenta il biennio della Scuola di
“Théâtre, mime et mouvement” di Jacques Lecoq,
diplomandosi nel 1969. Già in quegli anni comincia
a pensare al progetto di una sua Scuola, dove
mettere a frutto il suo interesse per la
didattica, una vera vocazione che l’insegnamento
del grande Maestro francese ha fatto fiorire. Tornata in Italia, entra a far parte dell’Associazione Nuova Scena, fondata nel 1968 da un gruppo di personalità del teatro fra cui Dario Fo, Franca Rame, Vittorio Franceschi, Nanni Ricordi e Nuccio Ambrosino. Tra il 1969 e il 1975 prende parte in qualità di attrice, mimo e cantante, agli spettacoli “Un sogno di sinistra”, “Diario di classe”, “Qui tutto bene e così spero di te”, “La dimensione del nero”, “La ballata dello spettro”, “Cerco l’uomo”. Infatti, pur avendo già in mente la creazione di una sua scuola, ritiene che non ci si possa dedicare all’insegnamento senza essersi prima misurati e arricchiti con serie, non occasionali esperienze di palcoscenico. Nel 1975 abbandona definitivamente la propria attività di interprete per dedicarsi a tempo pieno all’insegnamento, prima organizzando corsi in varie città d’Italia (Bologna, Torino, Modena, Siena, Bari, Faenza, Mestre e altre) e poi in alcuni quartieri di Bologna, dove nel frattempo Vittorio Franceschi ha spostato la Sede di Nuova Scena trasformandola in Cooperativa e rinnovandone l’organico. E’ in questa fase che Nuova Scena si inserisce prepotentemente nel tessuto teatrale cittadino, riportando in vita e gestendo lo spazio, da anni abbandonato, del Teatro Sanleonardo, ed è all’interno di Nuova Scena che la Scuola di Alessandra muove in quegli anni i primi passi, in collaborazione con ATER (Associazione Teatrale Emilia Romagna). Nel 1976 Alessandra Galante Garrone fonda la Scuola di Teatro di Bologna, assumendone in modo autonomo la Direzione e fissandone la Sede in una sala del palazzo storico di proprietà della Provincia di Bologna in via D’Azeglio 41/a. Lì la Scuola agirà per venticinque anni. Nel 1980 Alessandra cura i movimenti del Coro per l’“Edipo tiranno” di Sofocle, prod. ERT-Festival dei Due Mondi di Spoleto, traduzione di Edoardo Sanguineti, scene e costumi di Ezio Toffolutti, maschere di Werner Strub, regia di Benno Besson, e le coreografie per “I Capuleti e i Montecchi” di Vincenzo Bellini, Teatro Comunale di Modena, regia di Walter Pagliaro. Sempre nel 1980 pubblica “Alla ricerca del proprio clown” (Ed. La casa Usher) dove sintetizza le proprie esperienze e le regole didattiche, introspettive e tecniche di base per il lavoro del clown e più in generale dell’attore, libro che diventerà un punto di riferimento fondamentale per un’intera generazione. Nel 1981, promuove e organizza, in collaborazione con ATER-ERT e con il Comune di Rimini, il 1° Convegno Internazionale delle Scuole di Teatro, al quale prendono parte alcune delle personalità più rilevanti del panorama teatrale italiano ed europeo. Nel 1983 cura le coreografie per “L’italiana in Algeri” di Rossini, prodotto dal Teatro Verdi di Pisa, regia di Walter Pagliaro. Dal 1984 si dedica esclusivamente all’insegnamento e alla Direzione della Scuola di Teatro, intessendo rapporti e collaborazioni con importanti realtà formative e teatrali tra cui il Théatre du Soleil di Ariadne Mnouckine, l’Ecole Jacques Lecoq di Parigi, l’Eugene O’Neill Theater Center di Watertford (USA), l’Accademia di Musica di Praga, l’Università agli Studi, il Teatro Comunale e il Conservatorio G.B.Martini di Bologna, l’Odense Teater, il Cirque Baroque di Parigi, Nuova Scena / Arena del Sole / Teatro Stabile di Bologna e la Fondazione Teatro Due di Parma. Nel 1998 la Scuola di Teatro di Bologna diventa Centro Accreditato per la Formazione Professionale Superiore della Regione Emilia-Romagna. Nel 2000 la Scuola di Teatro inaugura - prima in Italia - il corso di “Nouveau-Cirque” che si affianca a quelli di prosa, con grande partecipazione di giovani che accorrono da ogni parte d’Italia. Alessandra Galante Garrone muore a Bologna il 24 marzo 2004: ha avuto appena il tempo di annunciare alla città, nella conferenza stampa del 19 gennaio di quello stesso anno, che la sua Scuola poteva finalmente disporre di un Teatro: il Teatro Sanleonardo, affidatole in gestione dal Comune di Bologna. In quel Teatro (oggi chiuso per lavori di ristrutturazione) la Scuola di Teatro di Bologna ha agito fino al 2008, svolgendovi attività didattica e offrendo le due sale di cui quello spazio dispone ai giovani, ospitando e proponendo in cartellone spettacoli, di prosa e di nouveau-cirque, creati prevalentemente dagli ex-allievi, che lì si sono misurati compiendo i primi passi nella professione. Oggi la Scuola di Teatro di Bologna, pellegrina in Patria come spesso accade ai teatranti, opera nella nuova Sede di Via Degli Ortolani 12, di proprietà del Comune di Bologna, e porta il nome della sua Fondatrice, continuando il cammino iniziato quarant’anni fa e sempre operando nel solco della continuità con il Suo insegnamento. Sito web: www.scuoladiteatrodibologna.it |
Alessandra Galante Garrone, "Alla
ricerca del proprio clown" (Edizioni
Pendragon) - ACQUISTA
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Mio padre, VITTORIO
FRANCESCHI
(Bologna, 14 ottobre 1936). Attore, autore e regista teatrale.
Attore, autore e regista teatrale, Vittorio Franceschi, dopo le prime esperienze di teatro-cabaret all’inizio degli anni ‘60 (“Come siam bravi quaggiù” e “Resta così o sistema solare” scritti con Sandro Bajini e rappresentati al Gerolamo di Milano, alla Ribalta di Bologna, al Duse di Genova e al Nuovo di Trieste) ha lavorato a lungo allo Stabile di Trieste dove nel 1964 fu allestita la sua prima commedia “Pinocchio minore - favola perbene con burattini di carne” e nel 1966 “Gorizia 1916 - documentario per il teatro sulla prima Guerra Mondiale”. Dal 1968 svolge la
sua attività a Milano con l’Associazione Nuova
Scena, di cui è uno dei fondatori e con la
quale dà vita, in collaborazione con l’ARCI, a
un circuito teatrale alternativo, primo passo
di quel “decentramento teatrale” che da lì a
poco interesserà la maggior parte delle
regioni italiane, decine di comuni e i
principali Teatri Stabili. Nel 1972 ne
trasferisce la sede da Milano a Bologna,
trasformandola in Cooperativa e restandone
alla guida fino al 1980. Fra i suoi testi
rappresentati in quegli anni: “Un sogno di
sinistra” (di cui cura anche la regia, 1969),
"La dimensione del nero" (1972), “La ballata
dello spettro” (1973) e “L’Amleto non si può
fare” (1976), per la regia di Francesco
Macedonio. Successivamente
cura la drammaturgia di “Monologo in
briciole” - collage di materiali tratti
dall’opera narrativa e poetica di Cesare
Zavattini (Astiteatro, 1984) e (in
collaborazione con Guido Davico Bonino) di
“Beckett-concerto” - collage di materiali
tratti dall’opera narrativa e poetica di
Samuel Beckett (Astiteatro, 1987, Produz.
Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia,
regia di Marco Sciaccaluga). Nel 1988 la
sua commedia “Ordine d’arrivo” va in scena
al “Teatro Argôt” di Roma per la regia di
Luciano Meldolesi. Nel 1991 la sua commedia "Scacco pazzo" viene coprodotta dagli Stabili di Bologna e Trieste per la regia di Nanni Loy e successivamente rappresentata nelle principali città italiane e in numerosi Paesi europei. Nel 1992 “Jack lo sventratore” viene anch’esso coprodotto dagli Stabili di Bologna e Trieste e rappresentato in Prima Nazionale al Festival dei Due Mondi di Spoleto, per la regia di Nanni Garella. Nel 1996 cura la regia di “Ordine d’arrivo” per il Teatro Stabile di Genova e nel 1999 scrive “Cabaret da viaggio” di cui cura anche la regia (Cubatea - Teatro Due di Roma). Sempre nel 1999, la sua commedia “L’uomo che mangiava i coriandoli” va in scena in Germania, al Südthüringisches Staatstheater “Meininger Theater” di Meiningen, per la regia di Axel Richter. Nel 2001 la sua commedia “La signora dalle scarpe strette” va in scena a Parma, produzione della “Fondazione Teatro Due” per la regia di Walter Le Moli. Traduce inoltre “L’ispettore generale” di Gogol dall’adattamento in lingua francese di André Markowicz, prodotto dallo Stabile di Genova per la regia di Matthias Langhoff. Nel 2002, per la Compagnia “La Contemporanea ‘83”, scrive “L’Arca di Gegè”, testo-cabaret di cui cura la regia (Teatro Due di Roma). Nel 2005 la sua commedia “Il sorriso di Daphne”, viene messa in scena da Nuova Scena - Teatro Stabile di Bologna per la regia di Alessandro D’Alatri, mentre nel 2007 il suo monologo “Dialogo col sepolto vivo” viene prodotto dall’Associazione “Daphne’s Smile” per la regia di Marla Moffa. Nel 2009 il suo testo “A corpo morto” viene prodotto dallo Stabile di Genova per la regia di Marco Sciaccaluga. La commedia “Scacco pazzo” è stata rappresentata in Francia, Germania, Svizzera, Polonia, Russia, Finlandia, Scozia e Spagna. Nel 2002 dalla commedia “Scacco pazzo” è stato ricavato l’omonimo film, per la regia di Alessandro Haber.
In qualità di attore ha
lavorato nei principali Teatri Stabili italiani
(Roma, Genova, Torino, Bologna, Trieste, Bolzano,
Palermo e Piccolo di Milano) e all’estero con la
Comédie de Genève. Fra le interpretazioni più
significative: il Reduce (“Parlamento" di Ruzante,
1975) e Tartufo (nell’omonima commedia di Molière,
1978) entrambi prodotti da Nuova Scena per la regia
di Francesco Macedonio; Edipo (“Edipo tiranno” di
Sofocle, regia di Benno Besson - ATER-ERT/Festival
dei Due Mondi di Spoleto, 1980); Godson (“Das
Kapital” di Curzio Malaparte, regia di Franco
Giraldi, Teatro Stabile del Friuli/Venezia Giulia,
1981); Re Hyrkano IV (“La piovra” di Wiktiewicz,
regia di Giovanni Pampiglione - Festival dei Due
Mondi di Spoleto, 1982); Robespierre (“L’affare
Danton” di Stanislawa Przybyszewska, regia di
Andrzej Wajda) e Pécuchet (“Bouvard e Pécuchet” di
Kezich e Squarzina da Flaubert, regia di Giovanni
Pampiglione), entrambi nel 1983 per lo Stabile del
Friuli-Venezia Giulia; Nella stagione 1983/84 ha
recitato (in lingua francese) alla Comédie de Genève
interpretando i ruoli di Bassà (“Il delirio
dell’oste Bassà” di Rosso di San Secondo - scene,
costumi e regia di Ezio Toffolutti e Renato Padoan)
e di Re Tartaglia (“L’oiseau vert” di Benno Besson
da Gozzi, maschere di Werner Strub, regia di Benno
Besson). Tornato in Italia, ha interpretato:
Gloucester (“Re Lear” di Shakespeare, regia di
Glauco Mauri, 1984); il già citato monologo “Beckett
concerto” (1987); Rousseline (“1000 franchi di
ricompensa” di Victor Hugo, regia di Benno Besson -
Teatro Stabile di Genova, 1991); Pietra-di-paragone
(“Come vi piace” di Shakespeare, regia di Marco
Sciaccaluga - Teatro Romano di Verona, 1992);
Hauk-Sendorf (“L’affare Makropulos” di Karel Capek,
regia di Luca Ronconi - Teatro Stabile di
Genova/Teatro Stabile di Torino, 1993); Giovanni
Pascoli (“Un anno nella vita di Giovanni Pascoli” di
Melania Mazzucco e Luigi Chierici - regia di Walter
Pagliaro, Teatro Stabile di Torino, 1994);
Shabielskij (“Ivanov” di Cechov - regìa di Marco
Sciaccaluga, Teatro Stabile di Genova, 1996);
Nicolaj Trileckij (“Commedia senza titolo” di
Cechov, regìa di Gabriele Lavia - Teatro Stabile di
Torino, 1997); Sampognetta (“Questa sera si recita a
soggetto” di Luigi Pirandello - regia di Luca
Ronconi - Teatro di Roma, 1998); Jaques (“Come vi
piace” di Shakespeare - regia di Gigi Dall’Aglio -
Fondazione Teatro Due di Parma, 2000). Nella
Stagione 2001/2002 ha interpretato il ruolo di
Borkman nel “John Gabriel Borkman” di Ibsen,
prodotto dallo Stabile di Torino per la regia di
Massimo Castri. Sempre per la regia di Massimo
Castri, nella stagione 2003/2004 ha interpretato il
ruolo di Hinkfuss in “Questa sera si recita a
soggetto” di Pirandello, produzione Teatro Biondo di
Palermo/Teatro di Roma. Nel 2006 è Vanni nella sua
commedia “Il sorriso di Daphne”, prodotto da Nuova
Scena - Teatro Stabile di Bologna per la regia di
Alessandro D’Alatri. Nel 2007 è Nicolaj Ivanovic
Saryncev in “Svet - la luce risplende nelle tenebre”
di Lev Tolstoj, prodotto dallo Stabile di Genova per
la regia di Marco Sciaccaluga. Interpreta inoltre il
suo monologo “Dialogo col sepolto vivo”, prodotto
dall’Associazione “Daphne’s Smile” per la regia di
Marla Moffa. Nel 2009 è protagonista nel suo testo
“A corpo morto” dove interpreta 5 personaggi diversi
indossando altrettante maschere, prodotto dallo
Stabile di Genova per la regìa di Marco Sciaccaluga,
con maschere di Werner Strub e scene di Matteo
Soltanto. Nel 2010 è Hamm in “Finale di partita” di
Samuel Beckett, prodotto da ERT - Emilia Romagna
Teatro, per la regìa di Massimo Castri. Nel
2012 va in scena nel Teatro Biagi/D'Antona di Castel
Maggiore (Bo) il suo apologo con canzoni "Il fiore
inesistente", di cui è protagonista insieme a Guido
Sodo, autore delle musiche e interprete delle
canzoni, regia di Matteo Soltanto, prod. Daphne’s
smile / Tra un atto e l’altro. Nel 2014 è
protagonista di "Il cappotto", testo di Vittorio
Franceschi liberamente ispirato all'omonimo racconto
di Nicolaj Gogol, prod. Nuova Scena / Arena del Sole
- Teatro Stabile di Bologna, regia di Alessandro
D’Alatri, spettacolo ripreso e programmato nella
stagione successiva da ERT. Nel 2014, cura la regia
di una nuova edizione di "Scacco pazzo", che ha come
interpreti Paolo Triestino, Nicola Pistoia e
Elisabetta De Vito, prod. Neraonda, distribuzione
Razmataz. Nel 2015, la sua novità "Grand Guignol
all'italiana" va in scena al Teatro Ridotto
dell'Aquila e al Teatro Eliseo di Roma in una
produzione del Teatro Stabile d'Abruzzo, regia di
Alessandro D’Alatri. Nel 2017 è di nuovo in scena
con il suo nuovo testo "L'esecuzione", di cui è
protagonista con Laura Curino, regia di Marco
Sciaccaluga, prod. ERT - Emilia Romagna Teatro e
Teatro Stabile di Genova. Nel 2018 ha interpretato
il ruolo di Il signore in "Temporale" di
August Strindberg, prodotto dal CTB - Centro
Teatrale Bresciano, regia di Monica Conti. Ha
lavorato inoltre con i registi Sandro Bolchi,
Luciano Damiani, Piero Maccarinelli, Mario
Missiroli, Vito Molinari, Aldo Trionfo. In campo cinematografico,
ha interpretato nel 1994 il ruolo di Renato nel film
“Italia village” diretto da Giancarlo Planta. In
seguito è stato protagonista del mediometraggio
“Delusione” tratto dall’omonimo racconto di Thomas
Mann, presentato al Festival di Locarno 2001 per la
regia di Nuccio Ambrosino. Nel 2002 ha scritto la
sceneggiatura per il film “Scacco pazzo” tratto
dalla sua commedia e diretto da Alessandro Haber,
interpretandovi il ruolo di Valerio. Nel 2004 ha
interpretato il ruolo di Eugenio Faoni nel film “La
febbre” di Alessandro D’Alatri. Vittorio Franceschi è Condirettore della Scuola di Teatro “Alessandra Galante Garrone” di Bologna, dove insegna recitazione.
Opere
pubblicate Prosa - “Resta così, o sistema
solare” (con Sandro Bajini) - FILMCRITICA N. 117 -
Febbraio 1962. - “Stramba Bologna sghemba”
- Ed. Raffaelli, 2004 (esaurito). Premi 1976 -
Premio "Riccione/ATER" per “L’Amleto
non si può fare”. Sito web: www.vittoriofranceschi.com
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Mia nonna materna, SARA CIMINO (Nicastro, 23 agosto 1913 - Torino, 29 luglio 2004). Nata a
Nicastro - l'odierna Lamezia Terme (Cz) - il 23
agosto 1913, trascorre la sua prima infanzia a
Tripoli (Libia) dove il padre è magistrato. All'età
di 5 anni, l'epidemia influenzale di "spagnola" le
porta via la madre, costringendo il padre a tornare
in Calabria, vedovo e con quattro figli, di cui Sara
è l'ultima. Risposatosi
il padre, che dalla seconda moglie avrà altre
quattro figlie, si ritrova quarta di otto, e inizia
per innatismo teatrale, sin da piccola ad inventare
personaggi che porta sulla scena familiare. Canta e
studia il violino (più tardi, il suo estro
insopprimibile sarà stimolo fondamentale per figlie
e nipoti). Incontra il futuro marito Carlo Galante Garrone a Roma, dove aveva seguito il padre Guido Cimino, magistrato. Dopo una corrispondenza epistolare durata sei mesi, riceve la proposta di matrimonio e lo sposa a Roma il 30 dicembre 1939 seguendolo poi a Torino, città in cui si stabilirà definitivamente. Durante la guerra mette al mondo le due figlie, Margherita e Alessandra Galante Garrone, che grazie al suo stimolo inizieranno precocemente le loro carriere artistiche. Appena il tempo di vederle partire di casa e uno dopo l'altro, s'incarica di crescere i due nipoti, ovviamente finiti anch'essi nel vortice dello spettacolo. Ancora
piena d'energia, a 65 anni ricomincia a cantare,
rendendosi protagonista di spettacoli e recital come
soprano, e pubblicando libri di poesia. Senz'altro
responsabile di aver cresciuto e stimolato due
generazioni di artisti a seguire la loro libera
strada, si spegne a Torino nel 2004. ....................................... Questa
impareggiabile donna, cresciuta tra Libia e
Calabria, troppo presto orfana di madre,
istintivamente votata alla recitazione, al canto
ed al violino, accantonò i suoi talenti per tirare
su due figlie a cavallo della guerra, offrire
sostegno a mio nonno in decenni assai intensi,
crescere due nipoti che l'hanno impegnata senza
mai vederle perdere il senso e la leggerezza del
gioco. Quando infine anch'io lasciai Torino,
s'iscrisse a corsi di yoga, canto e poesia,
"poetando" di lì in poi instancabilmente e
partecipando ad annuali saggi di canto come
soprano, oltre che a numerose performance teatrali
nei ruoli più improbabili. A questa stupefacente
miniera d'umanità e fantasia, in famiglia dobbiamo
molto, avendo ereditato da lei la scintilla
pazzoide, quella che t'insegna che una cosa, anche
apparentemente irrealizzabile, "può farsi". Nonna
Sara ha saputo tutta la vita dissimulare dolori e
rinunce, trasferendoci quella scintilla col
sorriso, dunque se abbiamo infilato la via dello
spettacolo, lo dobbiamo in primis a lei, cioè
proprio all'unica persona di casa, che allo
spettacolo aveva dovuto, per quasi tutta la vita,
rinunciare. Onore ad una irripetibile nonna d'arte
e follia. (Nella foto, nonna Sara mentre beve un succo di pera nei panni di Giuseppe Verdi, durante le prove di uno spettacolo, nel 1980). |
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Mio nonno materno, CARLO
GALANTE GARRONE
(Vercelli, 2 dicembre 1910 - Torino, 20 giugno
1997). Politico, magistrato e membro della Resistenza. Nasce il 2 dicembre del 1910
a Vercelli, ma segue presto il padre a Torino,
ritornando con la famiglia a Vercelli nel 1917,
durante le fasi finali della Grande Guerra.
Il padre Luigi Galante, professore e latinista, fiorentino, nel 1906 aveva vinto il Certamen poeticum Hoeufftianum di Amsterdam con il carme Licinus Tonsor, superando Giovanni Pascoli. La madre Margherita Garrone, vercellese, era sorella di Eugenio e Giuseppe Garrone, Medaglie d'Oro al Valor Militare nella Prima Guerra Mondiale. Insieme ai fratelli Virginia e Alessandro, Carlo cresce quindi nel clima culturale dell’interventismo democratico che aveva spinto gli zii materni a partire volontari per la guerra, dove erano morti nella battaglia del Monte Grappa, nel dicembre del 1917. Il cognome Galante Garrone
porta la memoria di quella duplice tragedia: un
regio decreto degli anni Venti previde che, per non
disperdere il cognome di famiglia dei due zii
Garrone, eroi e Medaglie d'Oro della Grande Guerra,
ai figli di Margherita Garrone e ai loro discendenti
venisse aggiunto al
cognome del padre (Luigi Galante) quello della madre
(Margherita Garrone). Nati Galante, da quel momento
i tre figli si chiamarono quindi Virginia,
Alessandro e Carlo Galante Garrone. Rimasto orfano di padre alla fine del 1925, Carlo si trasferisce con la famiglia a Torino nel 1928, laureandosi in giurisprudenza nel 1932. Entrato in magistratura nel 1935, dopo un primo periodo trascorso a Ivrea dove è nominato Pretore nel 1936, prosegue la carriera giudiziaria presso il Tribunale di Torino. Sposa a Roma, il 30
dicembre 1939, Sara Cimino. Sin dalla fine degli anni Trenta è vicino al gruppo torinese che, riunito intorno ad Ada Gobetti, si richiama al movimento antifascista Giustizia e Libertà. Con il fratello e Giorgio Agosti, al quale è legato sin dagli anni dell’università, stringe rapporti sempre più stretti con Dante Livio Bianco e con loro entra a far parte del Partito d’Azione torinese per il quale organizza presso la sede del tribunale di Torino, un deposito di stampa clandestina. Svolge quindi attività di collegamento con le formazioni partigiane di Giustizia e Libertà del cuneese e quando la polizia fascista entra nel tribunale di Torino per arrestarlo, riesce a fuggire attraverso una finestra ed entra in clandestinità raggiungendo la V Divisione Alpina "Sergio Toja", operante nella Val Pellice, unendosi alla Brigata Partigiana Giustizia e Libertà. Partecipa alla liberazione
di Cuneo. Durante la
guerra nascono
le sue due figlie, Margherita (1941) e Alessandra
Galante Garrone (1945). Al termine del conflitto, il CLN, Comitato di Liberazione Nazionale, lo nomina Prefetto di Alessandria, provincia distrutta materialmente e moralmente dalla guerra, dalle rappresaglie e dalla deportazione di giovani ed Ebrei. A fine febbraio 1946 torna alla professione di giudice presso il tribunale di Torino. Negli anni successivi, come
molti altri compagni azionisti, continua in
ambito culturale l’impegno politico, collaborando
con varie riviste tra le quali “Resistenza”, “Il
Ponte” di Piero Calamandrei, “Il Mondo”,
adoperandosi in particolare per la difesa della
Resistenza e la denuncia della mancata epurazione
legata agli effetti dell’amnistia Togliatti. Nel settembre 1953, due
mesi dopo la morte improvvisa di Dante Livio Bianco,
suo grande e stimato amico e collaboratore, ne
rileva lo studio legale, lasciando la magistratura
per intraprendere la carriera di avvocato. In questa
veste, negli anni successivi prenderà parte alla
difesa di Ferruccio Parri, calunniato da giornalisti
neofascisti, e a quella di Sandro Pertini, Giorgio
Amendola, Franco Calamandrei, Rosario Bentivegna,
Carlo Salinari, Carla Capponi e Riccardo Bauer, nel
processo legato all’attentato di via Rasella avviato
da alcuni parenti di vittime della strage delle
Fosse Ardeatine. Su sollecitazione di Ferruccio Parri, accetta di candidarsi alle elezioni politiche del 1968 come indipendente nelle liste del Pci-Psiup: sarà senatore della Sinistra indipendente per tre successive legislature, dal 1968 al 1979 (al fianco non solo di Parri, ma anche di Franco Antonicelli, Tullia Carettoni, Carlo Levi, Lelio Basso, Raniero La Valle, Tullio Vinay) e deputato dal 1979 al 1983. Membro dalla fine del 1969 della commissione d’inchiesta sul caso Sifar-De Lorenzo, si impegna in seguito nella battaglia per l’introduzione del divorzio, per la riforma del codice penale Rocco, per la riforma dell’ordinamento penitenziario, contro la legge Reale del 1975 e nella denuncia dello scandalo Lockheed. Conclusa l’esperienza parlamentare, si candida alle elezioni amministrative del 1985 nelle liste del Pci ed entra a far parte del Consiglio comunale di Torino nel quale rimane sino al 1991. Nel 1992 viene pubblicato
dall'editore Franco Angeli il suo libro di memorie Vita
e opinioni di Alessandro Prefetti, titolo che
fa riferimento all'incarico di Prefetto di
Alessandria, da lui ricoperto subito dopo la
Liberazione. Si spegne a Torino il 20 giugno 1997.
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La mia prozia
materna, VIRGINIA GALANTE GARRONE (Vercelli, 20 gennaio 1906 -
Torino, 2 gennaio 1998). Primogenita di Margherita
Garrone e del docente di latino e greco Luigi
Galante, dimostra fin da bambina una spiccata
propensione per la scrittura, cimentandosi
precocemente nella stesura di diari e racconti. Nel
1930 si laurea in Lettere a Torino con Ferdinando
Neri: la sua tesi, L’apparato scenico del dramma
sacro in Italia, riflette gli interessi
artistici sviluppati durante gli anni universitari
grazie alla frequentazione delle lezioni di Lionello
Venturi e otterrà la dignità di stampa nel 1935. Negli anni Trenta
intraprende la carriera dell’insegnamento e lavora
come docente di italiano e latino negli istituti
magistrali di Vercelli, La Spezia e Torino.
Costretta a sospendere questa attività a causa del
sopraggiungere del secondo conflitto mondiale,
Virginia torna a insegnare nel dopoguerra,
dedicandosi inoltre alla pubblicazione di alcuni
libri per l’infanzia quali Alla locanda del buon
umore (Torino, Edizioni Ruata, 1946),
rielaborazione di alcune novelle trecentesche di
Franco Sacchetti, e la raccolta di filastrocche Le
fiabe di Loranzè (Milano, Editrice Ceschina,
1955). Nello stesso periodo, spinta soprattutto
dalle ristrettezze economiche, Virginia scrive
alcuni romanzi rosa per ragazze (Marinella, Finestre
aperte e C’è tempo ancora) e li
pubblica con lo pseudonimo di Lavinia G. Argenti.
Fra il 1960 e il 1961 Virginia collabora al
«Corriere dei Piccoli» con filastrocche e racconti;
poco dopo, nel 1964, inizia a cimentarsi anche in
campo saggistico con il volume Incontri con autori
ed opere di letteratura per l’infanzia, un testo per
futuri insegnanti edito da Loescher. Allo stesso
anno risalgono le Belle storie di artisti
italiani. Da Le vite di Giorgio Vasari,
pubblicato da Fabbri. Nel 1972 Mursia pubblica la
biografia Charlie Chaplin. L’uomo che fu Charlot,
mentre nel 1974 è la volta di Lettere e diari di
guerra 1914-1918, volume edito da Garzanti e
curato da Virginia e dal fratello Alessandro: si
tratta di una versione ampliata di Ascensione
eroica, l’epistolario dei fratelli Giuseppe ed
Eugenio Garrone che Luigi Galante aveva fatto
stampare nel 1919 in onore dei cognati caduti in
guerra. Al 1976 risalgono Il cuore e il sangue
della terra, antologia di narratori piemontesi
contemporanei, e Burle, tavolozze e
scalpelli. Da Le vite di Giorgio Vasari. In
questi anni gli interessi artistici di Virginia la
portano anche a collaborare con la Rai nell’ambito
di alcuni programmi per ragazzi sulla vita degli
artisti. Nel 1979 esce Una Musa inquieta: la
Moda. Dalle parrucche all’unisex. Famosi sono
inoltre i commenti ad autori italiani e stranieri
che Virginia realizza per Mondadori, Garzanti,
Mursia e diverse altre case editrici: fra gli
scrittori trattati si possono annoverare Defoe,
Dickens, Brontë, Carlo Levi e Collodi. Ma il suo sogno di
diventare scrittrice, accarezzato fin dall’infanzia,
può realizzarsi appieno soltanto all’inizio degli
anni Ottanta, quando Virginia inizia a pubblicare
una serie di romanzi di memorie che ripercorrono la
sua intera esistenza attraverso la ricostruzione di
affetti, luoghi ed eventi del passato. In essi è
possibile rintracciare tutta la sua sensibilità
nostalgica, nonché il suo amore per la poesia e, in
particolare, per Dante: tutti i titoli dei romanzi,
infatti, sono tratti da versi più o meno celebri
della Commedia. Il primo volume, Se mai torni,
viene edito da Garzanti nel 1981, aggiudicandosi il
Premio Stresa dello stesso anno. Oggetto della
narrazione è la storia della famiglia: vengono
raccontate in ordine cronologico le vicende dei
bisnonni, dei nonni e infine dei genitori di
Virginia, che compare in veste di bambina negli
ultimi capitoli del libro. Nel 1984 Garzanti
pubblica il seguito del romanzo, intitolato L’ora
del tempo e vincitore del Premio Rapallo 1985.
Qui Virginia rievoca gli anni della sua infanzia,
trascorsa fra le città di Torino, dove il padre è
stato trasferito a insegnare, e di Vercelli, che
continua a rappresentare un importante punto di
riferimento con la “casa dell’Omino di ferro” dei
nonni (anche soprannominata “l’Isola”). Protagonista
dell’opera è il primo conflitto mondiale, che vedrà
cadere al fronte i due amati zii di Virginia,
Giuseppe ed Eugenio Garrone, poi insigniti della
medaglia d’oro al valor militare. Il volume
successivo, Nel transito del vento,
pubblicato da Edizioni Paoline nel 1988, alterna al
commento di Virginia numerose lettere di famiglia,
alcune delle quali conservate per oltre cento anni.
Spicca l’esemplare figura della nonna materna, Maria
Ciaudano, punto di riferimento costante per l’intera
famiglia. L’opera vince il Premio Speciale Grinzane
Cavour 1990. La saga familiare si conclude con Per
una selva oscura, edito da Garzanti nel 1991 e
dedicato agli anni della Seconda guerra mondiale. La
realtà descritta è quella dei bombardamenti su
Torino, che costringono Virginia e le altre donne di
casa a sfollare prima a Vercelli, poi a Limone
Piemonte e infine nel Canavese, mentre i fratelli
Alessandro e Carlo sono impegnati clandestinamente
nella formazione partigiana di Giustizia e Libertà.
L’ultimo romanzo, Dopo il fiore, viene edito
da Interlinea nel 2007, a quasi dieci anni dalla
morte di Virginia. Qui il filo conduttore è quello
della scuola, rievocata dalla prospettiva di una
Virginia alunna prima e professoressa poi. Negli ultimi anni Virginia
torna a scrivere per l’infanzia e pubblica Il
gaio Trecento (Cinisello Balsamo, Edizioni
Paoline, 1990), ulteriore rielaborazione delle
novelle di Sacchetti, e le due raccolte di
filastrocche Fila filastrocca (Torino,
Edizioni Gruppo Abele, 1995) e La Maccabea
(Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1996). Si spegne a
Torino nel 1998. Principali opere Premi
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